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Si è eretta a suon di schiaffi, sola contro un intero popolo. Bullizzata, diremo oggi. La Tour Eiffel, icona mondiale di una nazione, è il più classico degli esempi di architettura “effimera”: l’ospite speciale alla Festa delle Feste che, conclusa ogni celebrazione, sarebbe dovuta sparire di scena dalla quinta sul retro.
Invece, nonostante le critiche, la furbetta con quel profilo all’insù è riuscita nel tempo a insinuarsi con eleganza nell’orizzonte e nella vita delle sue persone.
La sua bellezza è stata funzionale. La sua funzione è divenuta bellezza. Entrambe necessarie.
La chiamavano Effimera
Parigi si stava preparando per i doverosi festeggiamenti: nel 1889 capitava il compleanno della Rivoluzione Francese, e non uno a caso, ma bensì le cento candeline. La città era in fermento per ospitare l’Esposizione Universale che avrebbe dovuto soffiare sulla torta, riconosciuta dagli applausi del mondo intero.
Alta 300 metri (oggi 330 con le antenne), composta da oltre 18 mila pezzi di ferro battuto assemblati con 2,5 milioni di rivetti, era la struttura più alta mai costruita prima: questo l’ingegnoso regalo da scartare, confezionato e firmato dall’ingegnere Gustave Eiffel insieme agli ingegneri Maurice Koechlin ed Émile Nouguier, e all’architetto Stephen Sauvestre.
Fu realizzata in soli due anni.
Una silhouette grigio scuro che conduceva lo sguardo lì, oltre le stelle.

A volte la bellezza mette un certo timore, destabilizza la vista. Invece di ancorare il futuro al presente, è troppo presente da apparire ingombrante.
L’ospite che non si vorrebbe mai alla propria festa, insomma.
Proprio lo stesso che invece, nel pieno della modernità, ha finito per dare forma al simbolo del rinnovamento francese.
E noi che volevamo lasciarlo fuori dalla porta.
Bella e impossibile
Una mostruosa ciminiera.
Una ferita nel profilo della città.
Così la definirono un gruppo di scrittori, pittori e intellettuali tra cui Guy de Maupassant, Alexandre Dumas figlio, Charles Gounod.
La volevano abbattere perché inutile e fuori contesto. L’intelligenza non sempre è lungimirante, avrà pensato lei, la Torre.
Doveva rimanerci solo vent’anni, lì al Trocadéro. Ma ne sono passati ben più di cento e ancora non l’hanno abbattuta.
Guarda il caso a volte, starà pensando oggi.
Quali opere, quali idee, quali volti stiamo giudicando con la stessa fretta di allora?
Punto esclamativo
Le guide turistiche iniziarono a guardarla per orientarsi nella città, i cittadini e le cittadine per immaginare quanto in alto potevano arrivare. Le coppie di stranieri in viaggio per emozionarsi e quelle di innamorati per dirsi sì per la vita, in ginocchio ai suoi piedi.

Ma come tutte le creature innovative che rompono gli schemi, la Torre, per essere compresa e accettata dovette dimostrare il suo valore oltre l’estetica.
Laboratorio scientifico, osservatorio meteorologico, stazione per la radiotelegrafia militare nella Prima Grande Guerra: questi i suoi servizi resi alla Storia che l’hanno portata a essere Il punto, esclamativo, di riferimento della Francia.
C’est moi sembra sentirle dire.
Non può essere altrove
Dalla solida base alla cima spavalda stagliata nel cielo: ullallà, quelle merveille!
Un’opera, una moda, una sfacciata novità che rompe la tradizione, quando entra nel ritmo quotidiano della nostra vita, non chiede più permesso e non interessa piacere.
Semplicemente diventa, evolve, si innalza e resta. Racconta, lì dove si trova il suo posto.
Lì dove si trova anche il nostro. Non può essere altrove se non nel paesaggio più profondo: quello interiore.
Quali architetture, quali idee, quali persone stiamo oggi definendo “effimere”?
E se fossero invece loro, domani, a tenerci insieme?
La Torre contro il tempo | Umaneco by Nesite ©tutti i diritti riservati
Testi a cura di Chiara Foffano – Illustrazioni di Ariele Pirona